Perché alcune esseri, in parte sono
belle e in parte sono brutte? Perché altre esseri alle volte sembrano belle, e
alle volte sembrano brutte? Oppure, alcune cose sono belle riguardo a qualcosa,
ma in relazione ad altre cose non lo sono?
«Ciò che è bello
si attribuisce a Dio»[1]. A Dio si attribuiscono
«il bello» (ciò che è bello) e «la bellezza» (bellezza come proprietà) in
maniera diversa che nelle creature: In Dio entrambi sono attribuiti insieme
perche «Dio abbraccia entrambi come un’unica e sola cosa»[2], mentre nelle creature «il
bello e la bellezza si distinguono secondo la maniera del partecipante e del
partecipato»[3].
Così possiamo
affermare che ci sono due tipi di bellezza: la Bellezza in sé, Dio; e la
bellezza partecipata, quella delle creature.
«Il Bello si
dice di Dio». Si dice in due modi: per eccesso e per causa[4]. L’eccesso è doppio: uno
si trova nel genere (pulcherrimus),
che si trova nelle creature, e l’altro si trova fuori del genere (superpulcher)[5], che è proprio di ciò che
trascende le categorie. Allora, Dio si dice simultaneamente «pulcherrimus et superpulcher», Questo
vuole dire che Dio si trova nel genere? No, ma significa che «a Lui sono
attribuite tutte le cose di qualsiasi genere che siano»[6].
Ora, se tutte le creature
partecipano della bellezza divina, ci chiediamo: perché alcune, in parte sono
belle e in parte sono brutte? Perché altre alle volte sembrano belle, e alle
volte sembrano brutte? Oppure, alcune cose sono belle riguardo a qualcosa, ma
in relazione ad altre cose non lo sono? Infine, perché un essere può essere
bello in un luogo, e in un’altro no? Ad
esempio la mano sinistra di Cristo del dipinto «la Piedad», di Fernando Gallego
(1440-1507), è bella; però poi, se vediamo tutto il corpo di Cristo, nel suo
insieme, vediamo delle sproporzioni; poi le espressioni di un cadavere sono
brutte fa pensare… come mai è possibile questo?
Qua abbiamo rapportiamo la
bellezza, o bruttezza, con due aspetti: le proporzioni delle forme e il tema;
ora uno non dipende dell’altro perché se le proporzioni o le espressioni
corporali sono belle, il tema ancora rimane lo stesso. Un esempio è «La Pietà»
di Michelangelo. È evidente che le proporzioni hanno che fare con la bellezza,
invece il tema è più complesso: come mai la morte di un uomo in braccia della
sua madre può essere bello? La sofferenza può essere bella? Una prima risposta
è precisare che il tema non è stato compreso in pienezza, cioè la sua lettura è
stata frammentaria. La pietà ha per tema la consegna della propria vita per il
prossimo (Cristo) e la consegna di quello più balioso che ha una madre: il
proprio figlio (Vergine). Detto ciò dobbiamo chiarificare che la bellezza nel
tema è di tipo morale (spirituale), cioè il fatto dell’amore fino all’estremo
di donazione. Questo ha un rapporto con la bellezza sensibile (figura, colore,
natura...).
Riprendendo la domanda iniziale
sulla variabilità della bellezza, dobbiamo dire che ogni essere creato è creato
in un modo concreto, e quindi determinato. Questa determinazione limita il suo
essere in questo modo di essere concreto, e quindi la sua bellezza ha che
vedere con la pienezza di questo modo di essere concreto; se smette di essere
quello che gli è proprio, potrebbe essere bello, ma non sempre sarà
riconosciuti per tutti come bello. Per rispondere più precisamente dobbiamo
andare a capo: la sostanza[7] sta composta realmente di
essere ed essenza[8].
L’essenza limita l’essere in questo modo di essere concreto, lo determina e
individualizza dentro di un ordine ontologico. L’essere in sé dice perfezione;
invece l’essere limitato da questa essenza dice perfezione di quest’ente.
Nell’ente sostanziale finito (le creature) l’essenza, a sua volta, è composta
di forma sostanziale e materia prima[9]. Tomaso dice che:
Nelle creature c’è un doppio
difetto di bellezza: il primo è che ci sono cose che hanno una bellezza
variabile, come succede nelle cose corruttibili […] e il secondo è che le
creature, siccome hanno una natura particolare, hanno a loro modo una bellezza
particolare.[10]
Per questo doppio difetto alle
volte la loro bellezza è sostenuta dalla quantità, qualità, tempo, relazione, o
luogo. Ecco una prima ragione per cui, delle volte, alcuni esseri non sembrano
belli. Peró la ragione più potente della diversità, e delle volte la
soggettività del giudizio estetico è risolto dalla distinzione tra modus essendi (modo di essere) e il modus cognoscendi (modo di conoscere)[11]; perché la bellezza è lo
splendore dell’essere. In modo che, per uno spirito puro (come Dio, pure gli
angeli), che capisce immediatamente l’idea nell’esistente ogni essere è bello.
Per l’uomo invece, che non è spirito puro ma spirito incarnato, e deve capire
d’accordo alla sua natura, cioè conoscenza nella materialità, apartire del
sensibili tramite le divisioni. In questo processo l’esperienza estetica, in
occasioni si lascia assorbire dalla confusione edonista. Così un colore bello è
una delizia per l’occhio, un ritmo vivace da gioia. Anche se ogni essere è
proporzionato all’intelletto, questo non indica che lo sia in tutti i sensi. Da
questo segue che l’idea interna degli esseri in occasioni non risplenda[12], ma comunque ha un grado
di bellezza sotto condizioni determinate.
Più prospettive in spazio e tempo sacro... Al di là del tempo
[1]T. de Aquino, In
dionisii de divinis nominibus, E.S.D., Bologna 2004, cap. 4, lect. 5, n.
333: « pulchrum attribuitur Deo ».
[2] Ibid., n. 336: «Deus tamen utrumque comprehendit in se, secundum unum et idem.»
[3]Ibid., n.
337: «pulchrum et pulchritudo
distinguuntur secundum participans et participatum ita quod pulchrum dicitur
hoc quod participat pulchritudinem; pulchritudo autem participatio primae
causae quae omnia pulchra facit: pulchritudo enim creaturae nihil est aliud
quam similitudo divinae pulchritudinis in rebus participata».
[4]Cfr. T. de Aquino, In dionisii de divinis nominibus, n.
341: «pulchrum de deo dicitur; et primo
ostendit quod dicitur secundum excessum; secundo, quod dicitur per causam».
[6] Ibid., n. 343: «non
quod sit in genere, sed quod ei attribuuntur omnia quae sunt cuiuscumque
generis».
[7] «In filosofia
per sostanza, dal latino substantia, ricalcato dal greco ὑποκείμενον
(hypokeimenon), letteralmente traducibile con "ciò che sta
sotto", si intende ciò che è nascosto all'interno della cosa
sensibile come suo fondamento ontologico. La sostanza è quindi ciò che di un
ente non muta mai, ciò che propriamente e primariamente è inteso come elemento
ineliminabile, costitutivo di ogni cosa per cui lo si distingue da ciò che è
accessorio, contingente, e che Aristotele chiama accidente», in wikipedia.
[8] «Il termine essenza (greco τί ᾖν
εἶναι, ti en einai, lat. essentia), secondo la concezione aristotelica,
significa “ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa”.
L'essenza quindi sta ad indicare quelle determinazioni di una cosa, specificate
nella sua "definizione", che ne costituiscono la natura (o
"specie" in termini aristotelici); che psicologicamente parlando
(vedi moderna epistemologia evoluzionistica) corrisponde alla particolare
visione della realtà determinata dalle nostre categorie mentali: “gli apparati
immagine del mondo”» In wikipedia.
[9] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I q.5, a.1; q.45,
a.4; q.90, a.2; De Veritate, q.27,
a.1 ad 1; De Potentia, 9, 1.
[10] T. de Aquino, In dionisii de
divinis nominibus, n. 345: «Est autem
duplex defectus pulchritudinis in creaturis: unus, quod quaedam sunt quae
habent pulchritudinem variabilem, sicut de rebus corruptibilibus […] Secundus
autem defectus pulchritudinis est quod omnes creaturae habent aliquo modo
particulatam pulchritudinem sicut et particulatam naturam».
[11] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I, q.13, a.12 ad 3.
[12] Cfr. J. de Finance, Conocimiento del ser, 196. 202-203.
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